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Ciò che si vuol dire è che lo spazio del museo Accorsi-Ometto (non a caso l’ex abitazione del fondatore Pietro Accorsi) è un vero e proprio salotto di Torino, certo, arricchito dalle rarità che Accorsi riuscì a raccogliere, ma un salotto di quelli che la capitale sabauda poteva contare copiosi e che qui ora possiamo rivivere grazie all’infaticabile lavoro di chi anima e gestisce la Fondazione. 

Una sequenza di saloni, corridoi e salette, in cui spiccano i Piffetti adagiati sugli Aubusson e i Savonarie incredibilmente intatti, alle pareti svariati Cignaroli e Rapous che fanno da cornice ad ambienti aulici ma in cui tutti noi riusciamo a respirare a pieni polmoni l’aria di un tempo che fu e che fa da zoccolo duro al nostro gusto e alla nostra voglia di vivere in ambienti calorosi.

La storia di Accorsi è la storia di un personaggio che genialmente è riuscito a imporre alla ricca borghesia industriale, in primis agli Agnelli e alla loro cerchia, il gusto raffinato degli arredi settecenteschi in ambienti che barocchi non erano.
Furono la sensibilità estetica e la pervicacia di quest’uomo di umili origini, nato e cresciuto nello stesso stabile di via Po in cui ha sede la Fondazione, a fungere da polo di attrazione dei beni più preziosi di cui la nobiltà si disfaceva e di cui la borghesia in ascesa poteva fruire grazie al ruolo di questo personaggio.
La Fondazione ha voluto premiare la sagacia e l’occhio infallibile con cui il “comendatur” ha sempre selezionato le sue acquisizioni.
La peculiarità dei suoi fedeli collaboratori, buon ultimo il Cavalier Ometto, consiste nell’aver tenuta coesa una collezione ricchissima di mobili, quadri e arredi e di averla messa al servizio della città in un ambiente che permette, appunto, di farci rivivere le magnificenze dei secoli scorsi nonché il clima brulicante del Novecento stabilendo un rapporto di assoluta familiarità con la storia e con le cose che ne testimoniano lo spirito.
Ometto e i suoi collaboratori, nella cura e nell’arricchimento di questa collezione, sollevano questo particolare museo dalla fissità che potrebbe avere un’esposizione fine a se stessa di oggetti antichi: qui invece è possibile passare dalla cucina alle camere da letto, ai saloni, senza essere schiacciati dal peso di ambienti monocordi, pur senza avere mai l’impressione di ritrovarsi in un pot-pourri di oggetti eterogenei da rimirare anziché vivere appieno almeno per un attimo.
La raccolta ora si arricchisce di mobili (il cofano-forte del Piffetti acquistato a un’asta Sotheby’s nel 2013), terracotte (i tre gruppi scultorei del Ladatte acquistati a Parigi nel 2014 e nel 2017), dipinti (il ritratto della principessina Maria Luisa Gabriella di Savoia di Louis Michel Van Loo), miniature, orologi, argenti e porcellane montate, che si fondono perfettamente con la mole di arredi preesistenti, a ricordarci che, assodato il buon gusto, un ambiente accogliente non è fatto dell’adesione filologica a uno stile solo, bensì della fusione di stili anche di epoche e di luoghi d’origine diversi, purché espressione di cultura e maestria di ogni singolo artista.
Il richiamo a visitare questo museo, questo palazzo, per visionare l’ultimo decennale di acquisizioni da parte della Fondazione, ci fa pensare che questo piccolo tempio continuerà ancora per molto a ricordarci che Torino è tutt’ora un punto di riferimento specifico in Italia per quanto riguarda non solo la memoria ma la reviviscenza di un modo di vivere colto ed elegante affatto in contrasto con la modernità.

L’esposizione “Da Piffetti a Ladatte. Dieci anni di acquisizione alla Fondazione Accorsi-Ometto” è curata da Giulio Ometto, presidente della Fondazione, e da Luca Mana, conservatore del Museo.
Rimarrà visibile al pubblico sino al 3 giugno 2017.
Fondazione Accorsi – Ometto 

Gloria Guerinoni