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Il paese della felicità, l’utopia realizzata tra le montagne Himalayane.

Fotografie di Ludovico Benedetto

Il “World Happiness Report“, frutto della collaborazione tra Gallup, Oxford, le Nazioni Unite e il WHR, è il rapporto che ogni anno decide quali paesi sono i più felici sul nostro pianeta.

Essenzialmente riflette la crescente domanda globale di considerare la felicità e il benessere come indicatori chiave per le politiche governative, esamina lo stato attuale della felicità nel mondo, o almeno così dovrebbe.

Le valutazioni della vita del Gallup World Poll costituiscono la base per le classifiche annuali della felicità. Si basano sulle risposte alla domanda principale sulla valutazione della vita; viene quindi chiesto agli intervistati di valutare la propria vita attuale da 0 a 10.

Il Rapporto Mondiale sulla Felicità e gran parte del crescente interesse internazionale per la felicità esistono grazie al Bhutan, nonostante oggi non compaia neanche nei paesi presi in esame.

Il Bhutan è un piccolo stato asiatico di appena 800 mila persone che si trova fra la Cina e l’India con un’estensione di 46,500 km², circa 6 volte più piccolo dell’Italia.

Il Druk Yul, il nome originale del Bhutan, ha sponsorizzato la Risoluzione 65/309, “Felicità: Verso un approccio olistico allo sviluppo”, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 luglio 2011, che invita i governi nazionali a “dare maggiore importanza alla felicità e al benessere nel determinare come raggiungere e misurare lo sviluppo sociale ed economico”. L’idea di individuare un nuovo indicatore, diverso dal PIL (il Prodotto Interno Lordo), nasce nel 1972, dal re del piccolo stato, Jigme Singye Wangchuck.

Sull’impulso di questo reggente illuminato nasce il F.I.L., la Felicità Interna Lorda, che trasforma una filosofia di vita, quella buddhista, in un indice di misurazione adottato oggi anche dalle Nazioni Unite. L’idea alla base è quella di misurare la felicità e non la ricchezza:

“il livello di benessere degli individui non può essere calcolato solo sulla base di meri parametri materiali, specialmente in un mondo sempre più complesso.”

Il F.I.L. ha radici molto antiche, riadatta idee millenarie buddhiste traducendole in uno sviluppo socio-economico equo e sostenibile, la protezione dell’ambiente, la promozione e la conservazione culturale e una buona governance.

Questi 4 pilastri sono proprio quelli respiri vivendo il Bhutan: cieli blu e città pulite, fiumi cristallini e strutture pubbliche moderne, foreste rigogliose e politiche sociali di welfare, gente cordiale e sviluppo tecnologico.

Il FIL si calcola sulla base di 33 indicatori che misurano nove “domini di felicità”: benessere psicologico, salute, livello di istruzione, uso del tempo e standard di vita dei cittadini, diversità culturale e biodiversità, buon governo e vitalità della comunità. Il dato finale si ottiene incrociando statistiche oggettive (come livello istruzione e PIL) e sondaggi nazionali in cui viene chiesto direttamente ai cittadini e alle cittadine quanto si sentano felici sulla base di questi campi.

La popolazione viene infine divisa in quattro gruppi: profondamente felice (dal 77% al 100%), ampiamente felice (dal 66% al 76,9%), poco felice (dal 50% al 65,9%) e infelice o “non ancora felice” (dal 0% al 49,9%).

Fotografie di Ludovico Benedetto

Il sistema Bhutan viene fortemente criticato dal resto del mondo in quanto considerato non attendibile da un punto di vista imparziale ed oggettivo tenendo in considerazione fattori difficilmente calcolabili matematicamente, ma basta parlare con gli abitanti, camminare nelle campagne e pregare in un tempio per rendersi conto del contrario.

Il regno non promette felicità a nessuno dei suoi cittadini e visitatori esteri, non vuole insegnare, ma isolato dal resto del mondo semplicemente cerca di creare le condizioni perché la felicità individuale possa verificarsi.

Ovviamente, molti fattori hanno contribuito al successo del paese nel corso degli anni: l’isolamento che lo protegge dal resto del mondo, il clima che permette la coltivazione di miriadi di prodotti, le riserve quasi inesauribili di acqua pulita che, oltre a dissetare la popolazione, consentono una sovraproduzione di energia verde, la pacifica religione che fin dall’infanzia trasmette messaggi di amore e uguaglianza ai fedeli, la scarsa densità della popolazione, che conta oggi circa 800.000 abitanti, e il crescente interesse del mondo esterno, che ogni anno porta ingenti capitali al paese attraverso il turismo. Nonostante vi siano diversi problemi interni, come ovunque nel resto del mondo, forse il Druk Yul non sta commettendo molti errori e ha ottenuto qualche riconoscimento nel World Happiness Report: è diventato il primo Paese al mondo a compensare le proprie emissioni di CO2 e a ricevere il titolo di Paese Carbon Negative del Mondo, gli investimenti nel cinema hanno portato al successo di Lunana, il primo film locale a concorrere, nel 2022, agli Oscar, il 60% del territorio è area protetta e l’inquinamento è quasi inesistente, le strade, gli aeroporti, i mercati comunali e altre strutture pubbliche sono tutte all’avanguardia e l’economia è in crescita grazie all’apertura del Paese e all’introduzione della tassa di soggiorno nel 1974, che ha contribuito a mantenere un livello di welfare invidiabile. È una nazione di anziani speranzosi che ha generato una generazione di giovani che credono nel futuro e in quello che stanno facendo e che, soprattutto, invitano il resto del mondo a seguirli.

Fotografie di Ludovico Benedetto

Fotografo, scrittore e social media manager freelance. Realizza visual storytelling transmedia e recensioni sulla settima arte