Skip to main content

La recensione di Ludovico Benedetto

Regia: Masaaki Yuasa

Regia: Masaaki Yuasa

Genere: Commedia, Giappone, 2021

Genere: Commedia, Giappone, 2021

Durata: 98 minuti

Durata: 98 minuti

Voto della redazione: 9.5/10

Voto della redazione: 9.5/10

Presentato al Festival di Venezia nel 2021, arriva due anni dopo nelle sale delle nostre città.

Una stravagante rock-opera ambientata nell’antico Giappone che vede un bambino maledetto con uno straordinario talento per la danza e un suonatore di Biwa cieco come protagonisti indiscussi, un inno alla trasformazione come cardine per comprendere l’identità personale e di genere del mondo.

Inu-oh è una ucronia, Masaaki ci descrive una realtà interamente sua con però, uno scarto minimo fra cronaca e realtà, scarto dato dall’aura di magia e misticismo che circonda i due protagonisti e la loro storia.

Padre del teatro No, il cantastorie Inu-Oh è esistito veramente ma nonostante la fama raggiunta all’epoca non sono rimaste tracce delle sue opere. Il regista, così come la pellicola, parte perciò dalle vicende narrate nell’Heike Monogatari (un poema epico di autore sconosciuto basato su racconti oralmente tramandati) che narra la rivalità tra i clan Heike e Genji per il dominio totale sul Giappone.

Due secoli più tardi, dopo la sconfitta degli Heike nel XIV secolo, il giovane Tomona perde la vista a causa di un loro misterioso artefatto. Nonostante la cecità, Tomona diventa un incredibile bonzo suonatore di Biwa (tipico liuto giapponese).

Il percorso di Tomona culminerà solo nella conoscenza di Inu-oh, una creatura demoniaca dall’aspetto mostruoso. Trasformato da una maledizione in un essere deforme, Inu si rivela un ballerino straordinario destinato a ritrovare la sua forma umana diffondendo i racconti perduti e dimenticati degli Heike.

Il duo mette in scena, attraverso spettacoli rock che si rifanno ai Queen di We Will Rock you, agli Who ed ai Queen Been(gruppo queer giapponese) i racconti rimossi degli Heike, che hanno visto le loro narrazioni perdute e proibite.

Sfidando il potere e la censura di chi si rifugia nei dogmi per preservare lo status quo, le storie degli Heike diventano un’alternativa alla Storia Ufficiale del Giappone imposta dai vincitori, i Genji.

Inu-oh è un sogno visionario di libertà, senza remore e senza limiti; la pellicola scardina una visione univoca del mondo attraverso la trasformazione del nostro ballerino, ogni spettacolo cambia il suo aspetto via via rendendolo più umano.

Il performer diventa un simbolo di una ricerca d’identità di genere in un mondo che lo reprime; il suonatore similmente passa da pescatore a monaco fino a diventare chitarrista rock dal look più femminile.

Colori vivaci e musica, temi cupi e palette tenui, animazione classica e uno stile più pittorico si fondono in anacronismi senza sosta grazie all’aiuto di un altro grande sperimentatore dell’immagine, Taiyo Matsumoto.

Le forme longilinee, il dinamismo, i tratti incerti e le miriadi di sfumature sono le caratteristiche tipiche del mangaka del surrealismo Matsumoto, caratteristiche che possiamo ritrovare anche in un’altra collaborazione del 2014 di questi due grandi artisti: la serie animata Ping Pong.

I tamburi e i Biwa si trasformano in chitarre elettriche e batteria in questa lunga opera-rock; le canzoni di Inu-oh cavalcano i secoli abbattendo le barriere temporali e facendoci credere per i 98 minuti della pellicola che il rock sia effettivamente nato nel Giappone feudale.

Il film trova il suo culmine nel lungo finale che vede i due protagonisti prima allontanarsi ed infine ritrovarsi sempre sulle note che avevano in primo luogo creato il duo, un duo realmente esistito e magnificamente interpretato da Yuasa.

 

Fotografo, scrittore e social media manager freelance. Realizza visual storytelling transmedia e recensioni sulla settima arte