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Da pirati a signori: l’abbondanza passiva delle piattaforme streaming.

C’era una volta un sito illegale al punto che lo usavano tutti, ma proprio tutti.

Potevi cercare il film che volevi, lui ce l’aveva.

Ci metteva il suo tempo, avevamo tutti pazienza.

Il computer era lento, spesso dovevamo tenerlo acceso per tutta la notte, ogni tanto, quando esageravamo, per giorni. Fissavamo quello stillicidio di percentuale che cresceva lentamente come a trent’anni si fissa la pianta di basilico d’estate. Poi finalmente il download finiva e tu scoprivi che quello che avevi piantato non era basilico, ma la sua versione a luci rosse.

E ricominciavamo a cercare qualcosa in cui perderci. Ottimisti.

C’era una volta la lenta dipartita di quel sito a favore dello streaming.

E se dal primo abbiamo imparato la pazienza, dai suoi successori abbiamo imparato la velocità.

Non dovevamo più imballarci la memoria del pc, non dovevamo più trasferire su chiavette, usare hard disk, nascondere quei film sbagliati, ma comunque mai cancellati, in cartelle rinominate “documenti noiosi, no, davvero, non aprire, sono noiosissimi” e quelli giusti, magari subbati in coreano, in cartelle talmente piene da sembrare l’archivio del Museo del Cinema.

La sfida, a quel punto, erano i virus. E ne siamo usciti quasi tutti indenni.

Il dito più veloce a chiudere i popup era il vero metro di valore. Siti e siti di incontri chiusi alla velocità con cui si aprono le bottiglie di gin a Torino la sera, riconoscevamo i pericoli e li evitavamo, spavaldi.

Nell’economia di una vita, questa era l’età giovanile del grande mercato del cinema e delle serie tv domestiche, la gavetta, la preparazione al benessere, l’atto propedeutico che ti fa gustare l’all-you-can-eat del futuro.

Figli di questa educazione spartana, ci siamo fiondati nel mondo delle piattaforme streaming incuriositi e attratti. La quota mensile era irrisoria in confronto alle fatiche vissute e non abbiamo battuto ciglio di fronte ai minimi aumenti, alle limitazioni e al proliferare di servizi online.

Ci siamo assuefatti alla meraviglia della dispensa sempre piena, sul nostro divano, sulla nostra smart tv, sul cellulare, sul tablet, sul pc. Ogni angolo della nostra casa ha un dispositivo pronto a servirci e a riempirci gli occhi di trame e storie.

Il prêt-à-porter dei film e delle serie tv ci ha fatto riflettere per un secondo con tristezza sul decadimento dei cinema e dei teatri, il tempo necessario per schiacciare play e passare alla stagione successiva.

E in questo abbandono abbiamo perso il controllo.

L’esigenza del racconto è dentro di noi, viscerale e arcaica, ne cerchiamo il senso, dominiamo il concetto e ci rispecchiamo in quello che accade. Eroi e antieroi si confondono a favore di temi finalmente tangibili in binge watching dal facile oblio e che a sua volta l’oblio lo rappresentano.

E poco importa se quelle stesse narrazioni vengono interrotte perché non sono remunerative, se le serie vengono cancellate da un giorno all’altro lasciando i copioni sospesi o se, forse peggio, si esaspera una trama che ha fatto il botto e di cui si spremono gli elementi narrativi fino a farli seccare per poi tentare di rianimarli all’ultimo, come dei piccoli Clint Eastwood nel deserto, dove alla fine l’unica vittima è la nostra voglia di seguirle.

 

E, comunque, continuiamo a cercare qualcosa in cui perderci. Ottimisti.